Il sale della tassonomia.
Mi scusi, mi sa dire dove posso trovare il sale?
Il banco frigo del supermarket è una landa infinita che ospita al proprio interno centinaia di prodotti, dalla pancetta affumicata a dadini allo yogurt magro senza lattosio.
Eppure io, che devo comprare il lievito di birra che mi serve stasera per fare la mia pizza, so per certo che è là dentro che dovrò circoscrivere la mia ricerca. E la cosa, in qualche modo, mi rassicura sul fatto che, con un po’ di pazienza, riuscirò a trovare quel piccolo fungo a cubetti.
Ma il sale? Potrei vagare all’infinito tra le mille corsie del negozio senza riuscire a trovarlo. Fin quando, come un Teseo inebetito e privato del filo di Arianna, non mi resterebbe altra scelta che rivolgermi a un dipendente. Cosa che puntualmente accade.
Ricevo le indicazioni necessarie e ipocritamente gli faccio credere che, se avessi riflettuto abbastanza, avrei sicuramente trovato ciò che cercavo, evitandogli il disturbo.
Quando giungo alla meta, in una corsia che la mia mente non aveva minimamente contemplato, finisco per rafforzare la mia convinzione che il sale sia sistemato sempre in posti differenti: talvolta di fianco alle spezie, altre volte non lontano dallo zucchero (come se ci fosse un richiamo per contrapposizione dolce-salato), altre ancora isolato sul lato corto della corsia (come se non esistesse, in tutto il negozio, alcun compagno a cui associarlo).
Oggi mi trovo in questo supermercato per comprare gli ingredienti necessari per fare una pizza e penso a quanto mi piacerebbe trovarli lì, tutti insieme, l’uno di fianco all’altro: il sale, l’olio, la farina, la mozzarella, il pomodoro e il lievito di birra. Una follia, certo, perché se l’esercente volesse rispondere a questo tipo di logica, dovrebbe farmi trovare questi alimenti, ripetutamente, in ognuna delle ricette che prevede l’utilizzo di ognuno di essi.
Eppure, ciò che sembra impraticabile in un archivio fisico diventa non solo possibile, ma addirittura necessario in uno spazio virtuale. Dove ci viene in aiuto un concetto semplice e complesso al tempo stesso: la tassonomia.
Tra filtri, tendine e contenuti correlati. La tassonomia si svela.
Nella proposizione di un insieme di contenuti digitali, abbiamo bisogno di due modelli di presentazione. Il primo è definito template d’archivio, e ha la funzione di mostrare un elenco di tutti gli elementi disponibili. Qui, ad avere un ruolo centrale, è la maschera dei filtri, in cui i termini di ciascuna tassonomia sono selezionabili, solitamente, attraverso dei menu a tendina oppure dei checkbox, che ci danno la possibilità di visualizzare agevolmente porzioni di archivio secondo le nostre necessità.
Facile, penserete. Fin troppo, aggiungerei io. Già, perché tale facilità di raggruppamento può generare manie compulsive del catalogatore. Lo spazio di visualizzazione di una maschera di filtri è relativamente piccolo, una quindicina di pollici su un desktop, molti meno su un mobile. Evitare la proliferazione di tassonomie e dei loro relativi termini è un’operazione indispensabile, se non si vuole disorientare l’utente (non vi venga in mente, mai e in nessun modo, di classificare quegli alimenti per colore, per esempio!)
La tassonomia, in questo livello di navigazione, ha il compito di separare porzioni di database. Come un indice di un libro, o, ancor meglio, le corsie di un supermercato. Che però, svincolate da uno spazio fisico, possono finalmente ospitare il medesimo elemento in insiemi differenti. Il nostro lievito di birra potrà trovarsi, allora, sia nel banco frigo che tra gli ingredienti per pizza.
Ma torniamo alla nostra maschera e procediamo nella navigazione. Dopo aver filtrato gli elementi, l’utente si accingerà a cliccare su uno dei contenuti visualizzati per approfondirne la conoscenza. In questo secondo modello di presentazione, il contenuto digitale si mostra in tutti i suoi dettagli.
I termini con cui lo abbiamo precedentemente classificato potranno apparire esplicitamente, magari all’interno di box specifici, come accade per i classici tag di un articolo di un blog. Ma a rispondere ad una logica tassonomica sono anche i contenuti correlati, quegli elementi che hanno un qualche grado di parentela con l’oggetto in questione e che troviamo solitamente, in fondo alla pagina.
La tassonomia, ora, svela un potenziale ancora maggiore, aprendo a degli scenari inimmaginabili rispetto ad un archivio fisico. Utilizzata fin qui per dividere un unico insieme in diversi sottoinsiemi, il nostro supermercato in corsie, la tassonomia, è adesso chiamata a valorizzare le intersezioni tra i vari sottogruppi.
Scoprendo le relazioni tra ogni singolo elemento e gli altri, essa diventa l’anello di congiunzione tra un contenuto e i suoi simili e tra ognuno di questi con altri ancora, in un gioco di relazioni magari non infinito, ma potenzialmente circolare.
Come un insieme di segnali, verticali e orizzontali, che ci aiutano ad esplorare le corsie e a riconoscerle, infine, come un insieme compatto e logicamente coerente. Da cui possiamo uscire avendo in tasca proprio ciò che stavamo cercando, e a volte anche di più.
PS: Se alla fine del giro vi siete accorti di non aver trovato il sale, cambiate supermercato. Oppure scoprite come progettare l’architettura semantica di un festival del cinema.