Dal marchio al multi-brand. La nostra storia del Museo delle Storie di Bergamo.

Generare un’identità è molto divertente e sfidante (come si dica poi challenging in italiano rimane un mistero).
È una delle attività preferite di qualunque grafico perché ci si può esprimere in un esercizio demiurgico che dà molta soddisfazione. Uno dei pochi momenti in cui il tecnico si sente artista, anche se sa bene di non esserlo. O almeno dovrebbe, perché poi si ergono tutti i diktat dell’applicabilità, declinabilità, brand guidelines e comandamenti vari ed eventuali che ne preservino la cosa più importante: la sua funzione.

Se già è uno spasso doversi cimentare con la creazione di un’identità, avere a che fare con un marchio che deve potersi scomporre in altri 6 è praticamente una festa. Certo, bisogna considerare che il grado di complessità aumenta, ma non c’è guidelines che sia sufficientemente guastafeste. Sul nostro articolo di progetto trovate il progetto vincitore.

In questo articolo vi raccontiamo invece come abbiamo lavorato a partire dal percorso di analisi e brief collettivo psichedelico escogitato da BAM! Strategie Culturali (di cui si può leggere in questo link) per progettare l’identità che ha vinto la gara indetta dalla Fondazione Bergamo nella Storia.

Il rational

Non vogliamo comunicare un monolitico blocco di eventi, ma piuttosto un collage energico e divertente di racconti diversi tra loro, ognuno semplice e complesso al tempo stesso. Un mondo di Amelie, in cui ogni singolo dettaglio è importante e ricco di fascino. Vogliamo farlo con uno stile molto minimal, in cui ogni singolo dettaglio (come il cappello di charlot) rende la storia riconoscibile e iconica. Tante piccole storie, tanti piccoli mattoncini lego di colori diversi, combinabili a seconda della creatività. La storia è fatta di storie.

Gli elementi

Dalla moodboard delle micro-storie ci siamo impegnati a distinguere tre diversi elementi fondanti del brief grafico, da portarsi dietro nel corso della progettazione:

  1. Piccoli ingredienti: Piccole storie. Ma anche diversi luoghi, che sono modulari come le storie che raccontano.
  2. Caldi Colori: Vogliamo una palette colori che possa comunicare varietà, ma trasparente, come il vetro di un caleidoscopio.
  3. Morbida narrazione: La narrazione non deve essere pesante, ma al contrario incuriosire ed essere progressiva. Da un dettaglio, verso l’approfondimento.

Usciti da un mondo ispirato da Wes Anderson abbiamo scelto trame grafiche, linee e colori che ci aiutassero a creare non solo una grafica, ma una vera e propria grammatica visiva in grado di rendere riconoscibile ogni declinazione.

La funzionalità

Dal rational, passando per gli elementi, siamo arrivati alle funzionalità principali a cui il nuovo marchio doveva assolvere. Secondo una nostra tecnica di progettazione ™ per contrapposizione abbiamo disposto i valori su assi contrapposti:

  • Molteplicità: le diverse icone raccontano la varietà dei luoghi su cui il museo si articola, rendendo possibile la diffusione e la declinazione poi per le singole attività.
  • Singolarità: Ogni icona è diversa, e può essere usata come logo della singola venue. Riconoscibile e componibile allo stesso tempo.

E consecutivi:

  • Istituzione: Il museo è UNO. Le storie sono tante. La relazione tra molteplicità e unicità si gioca nelle diverse venue.
  • Narrazione: Il museo non è una collezione di oggetti (statici) ma di storie (dinamiche) che possono ancora essere raccolte, raccontate, e che hanno sempre nuovi significati.

Il risultato è un marchio che ne contiene altri 6, in grado di comporsi e scomporsi come un transformer, mantenendo però una chiara riconoscibilità, un’identità compatta che lascia spazio alle singole componenti senza prevaricarle.

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